Più grande e profonda è la ferita, più è forte la corazza che si sviluppa intorno.

Poi però con il passare del tempo, come un vestito portato troppo a lungo, nei punti di maggiore uso inizia a logorarsi, fa vedere la trama, ad un tratto per un movimento brusco si strappa. In principio non ti accorgi di niente, sei convinta che la corazza ti avvolga ancora interamente finché un giorno, all’improvviso, davanti a una cosa stupida senza sapere perché ti trovi a piangere come un bambino.

 

(..)

 

E mi sono anche resa conto che nella secchezza di quell’ordine non c’era insensibilità ma la tensione estrema di una persona pronta a piangere. E’ la corazza di cui parlavo prima. Tu ce l’hai ancora così stretta che quasi non respiri. (…) Le lacrime che non escono si depositano sul cuore, con il tempo lo incrostano e lo paralizzano come il calcare incrosta e paralizza gli ingranaggi della lavatrice

 

(…)

 

Mia madre è morta insoddisfatta e rancorosa, senza mai essere sfiorata dal dubbio che almeno qualche colpa fosse anche sua. Era il mondo a essere crudele perché non le aveva offerto delle scelte migliori.

 

(…)

 

La rinuncia di sé conduce al disprezzo.

 

(…)

 

Ti ricordi quando la notte di ferragosto andavamo sul promontorio a guardare i fuochi d’artificio che sparavano dal mare? Tra tutti, ogni tanto ce n’era uno che pur esplodendo non riusciva a raggiungere il cielo. Ecco, quando penso alla vita di mia madre, a quella di mia nonna, quando penso a tante vite di persone che conosco, mi viene in mente proprio quest’immagine – fuochi che implodono invece di salire in alto

 

(…)

 

I cambiamenti si accumulano in sordina, piano piano e poi a un certo punto esplodono. Tutt’a un tratto una persona rompe il cerchio, decide di essere diversa. Destino, ereditarietà, educazione, dove comincia una cosa, dove finisce l’altra? Se ti fermi anche un solo istante a riflettere vieni colta quasi subito dallo sgomento per il grande mistero racchiuso in tutto questo.

 

(…)

 

IL CASO. Una volta il marito della signora Morpurgo mi ha detto che in ebraico questa parola non esiste. Per indicare qualcosa di relativo alla casualità sono costretti a usare la parola azzardo che è araba. E’ buffo, non ti pare? E’ buffo ma anche rassicurante: dove c’è Dio non c’è posto per il caso, neppure per l’umile vocabolo che lo rappresenta. Tutto è ordinato, regolato dall’alto, ogni cosa che ti accade, ti accade perché ha un senso.

 

(…)

 

Verso i sessanta, quando la strada alle tue spalle è più lunga di quella che hai davanti, vedi una cosa che non avevi mai visto prima: la via che hai percorso non era dritta ma piena di bivi, ad ogni passo c’era una freccia che indicava una direzione diversa; da lì si dipartiva un viottolo, da là una stradina erbosa che si perdeva nei boschi. Qualcuna di queste deviazioni l’hai imboccata senza accorgertene, qualcun’altra non l’avevi neanche vista; quelle che hai trascurato non sai dove ti avrebbero condotto, se in un posto migliore o peggiore; non lo sai ma ugualmente provi rimpianto. Potevi fare una cosa e non l’hai fatta, sei tornata indietro invece di andare avanti. Il gioco dell’oca, te lo ricordi? La vita procede pressappoco allo stesso modo.

Lungo i bivi della tua strada incontro le altre vite, conoscerle o non conoscerle, viverle a fondo o lasciarle perdere dipende solo dalla scelta che fai in un attimo; anche se non lo sai, tra proseguire dritto o deviare spesso si gioca la tua esistenza, quella di chi ti sta vicino.

 

(…)

 

In queste cose non si può spingere o tirare, altrimenti succede la stessa cosa che succede con i venditori ambulanti. Più reclamizzano il loro prodotto, più si ha il sospetto che sia una truffa. Con te io ho cercato soltanto di non spegnere ciò che già c’era. Per il resto ho atteso.

 

(…)

 

Imponendo un’eccessiva rigidità alla mente, Ilaria aveva soppresso dentro di sé la voce del cuore.

(…)

Il cuore ormai fa subito pensare a qualcosa di ingenuo, dozzinale. Nella mia giovinezza era ancora possibile nominarlo senza imbarazzo, adesso invece è un termine che non usa più nessuno. Le rare volte in cui viene citato è soltanto per riferirsi al suo cattivo funzionamento: non è il cuore nella sua interessa ma soltanto un’ischemia coronaria, una lieve sofferenza striale; ma di lui, del suo essere il centro dell’animo umano, non viene più fatto cenno. Tante volte mi sono interrogata sulla ragione di questo ostracismo.

“Chi confida nel proprio cuore è uno stolto”, diceva spesso Augusto citando la Bibbia. Perché mai dovrebbe essere stolto? Forse perché il cuore somiglia a una camera di combustione? Perché c’è il buio là dentro, del buio e del fuoco? La mente è moderna quanto il cuore è antico. Chi bada al cuore – si pensa allora- è vicino al mondo animale, all’incontrollato, chi bada alla ragione è vicino alle riflessioni più alte. E se le cose invece non fossero così, se fosse vero proprio il contrario? Se fosse questo eccesso di ragione a denutrite la vita?

 

(…)

 

Finché lei era piccola, finché era adolescente e ragazza non mi sono mai posta questa domanda, la finzione in cui l’avevo fatta crescere era perfetta. (…) Non si sfugge alla falsità, alle bugie. O meglio, si può sfuggire per un po’, poi, quando meno ce lo si aspetta, riaffiorano, non sono più docili come nel momento in cui le hai dette, apparentemente innocue, no; nel periodo di lontananza si sono trasformate in orribili mostri, in orchi mangiatutto. Le scopri e, un secondo dopo, vieni travolto, divorano te e tutto quello che ti sta intorno con una avidità tremenda.

 

(…)

 

Lo odiavo? No, ti parrà strano ma non riuscivo a odiarlo. (parlando del marito).

Per odiare qualcuno bisogna che ti ferisca, che ti faccia male. Augusto non mi faceva niente, questo era il guaio. E’ più facile morire di niente che di dolore, al dolore ci si può ribellare, al niente no.

 

(…)

 

Sai qual è un errore che si fa sempre? Quello di credere che la vita sia immutabile, che una volta preso un binario lo si debba percorrere fino in fondo. Il destino invece ha molta più fantasia di noi.

Proprio quando credi di trovarti in una situazione senza via di scampo, quando raggiungi il picco di disperazione massima, con la velocità di una raffica di vento tutto cambia, si stravolge, e da un momento all’altro ti trovi a vivere una nuova vita.

 

(…)

 

Tempo fa ho letto su un giornale che, secondo le ultime teorie, l’amore non nasce dal cuore ma dal naso. Quando due persone si incontrano e si piacciono cominciano a inviarsi dei piccoli ormoni di cui non ricordo il nome, questi ormoni entrano nel naso e salgono fino al cervello e lì, in qualche meandro segreto, scatenano la tempesta dell’amore. I sentimenti insomma, concludeva l’articolo, non sono nient’altro che delle invisibili puzze. Che assurda sciocchezza! Chi nella vita ha provato l’amore vero, quello grande e senza parole, sa che queste affermazioni non sono altro che l’ennesimo tiro mancino per cacciare il cuore in esilio. Certo, l’odore della persona amata provoca grandi turbamenti. Ma per provocarli, prima ci deve essere stato qualcos’altro, qualcosa che, sono sicura è molto diverso da una semplice puzza.

Stando vicina a Ernesto in quei giorni per la prima volta nella mia vita ho avuto la sensazione che il mio corpo non avesse confini. Intorno sentivo una sorta di alone impalpabile, era come se i contorni fossero più ampi a quest’ampiezza vibrasse nell’aria a ogni movimento.

 

(…)

 

Sei giorni dopo il mio arrivo, guardandomi la mattina allo specchio mi sono accorta di essere un’altra. La pelle era più liscia, gli occhi più luminosi, mentre mi vestivo ho cominciato a cantare, non l’avevo più fatto da quando ero bambina.

Sentendo la storia dall’esterno forse ti verrà naturale pensare che sotto quell’euforia ci fossero delle domande,  un’inquietudine, un tormento. In fondo ero una donna sposata, come potevo accettare a cuor leggero la compagnia di un altro uomo? Invece non c’era nessuna domanda, nessun sospetto e non perché fossi particolarmente spregiudicata. (…) Ero come un cucciolo che dopo aver vagato a lungo per le strade d’inverno trova una tana calda, non si domanda niente, sta lì e gode del tepore. (…)

(…)

Il giorno seguente non l’ho voluto vedere. L’amicizia si stava trasformando in qualcos’altro e avevo bisogno di riflettere. Non ero più una ragazzina ma una donna sposata con tutte le sue responsabilità, anche lui era sposato e per di più aveva un figlio. Da lì alla vecchiaia avevo ormai previsto tutta la mia vita, il fatto che irrompesse qualcosa che non avevo calcolato mi metteva addosso una grande ansia. Non sapevo come comportarmi. Il nuovo al primo impatto spaventa, per riuscire ad andare avanti bisogna superare questa sensazione di allarme. Così un momento pensavo: “E’ una grande sciocchezza, la più grande della mia vita, devo dimenticare tutto, cancellare quel poco che c’è stato”. Il momento dopo mi dicevo che la sciocchezza più grande sarebbe stata proprio quella di lasciar perdere perché per la prima volta da quando ero bambina mi sentivo di nuovo viva, tutto vibrava intorno a me, dentro a me, mi sembrava impossibile dover rinunciare a questo nuovo stato.

(…)

In quella notte all’improvviso mi ero accorta di una cosa, e cioè che tra la nostra anima e il nostro corpo ci sono tante piccole finestre, da lì, se sono aperte, passano le emozioni, se sono socchiuse filtrano appena, solo l’amore le può spalancare tutte assieme e di colpo, come una raffica di vento.

 

(…)

Ernesto era molto appassionato all’argomento della predestinazione. “Nella vita di ogni uomo”, diceva, “esiste solo una donna assieme alla quale raggiungere l’unione perfetta e, nella vita di ogni donna, esiste un solo uomo assieme al quale essere completa”

Trovarsi però era un destino di pochi, di pochissimi. Tutti gli altri erano costretti a vivere in uno stato di insoddisfazione, di nostalgia perpetua. “Quanti incontri ci saranno così”, diceva nel buio della stanza, “uno su diecimila, uno su un milione, su dieci milioni?” Uno su dieci milioni, sì. Tutti gli altri sono aggiustamenti, simpatie epidermiche, transitorie, affinità fisiche o di carattere, convenzioni sociali. Dopo queste considerazioni non faceva altro che ripetere: “come siamo stati fortunati, eh? Chissà cosa c’è dietro, chi lo sa?”

(…)

Pensavo a Ernesto? Certo, non facevo praticamente altro. Pensare però non è il termine esatto. Più che pensare, esistevo per lui, lui esisteva in me, in ogni gesto, in ogni pensiero eravamo una sola persona.

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Un giorno, mentre Ernesto era al lavoro, passeggiando per il parco pensai che la cosa più bella in quell’istante sarebbe stata morire. Pare strano ma la felicità massima, come la massima infelicità porta con sé sempre questo desiderio contraddittorio.

(…)

…la scoperta di non possedere una luce mia rendeva ancora più difficili i tentativi di trovare una risposta.

(…)

C’era un senso là dentro, questo senso lo scorgevo davanti a me come un gradino gigante. Era lì perché lo superassi? Probabilmente sì, ma non riuscivo a immaginare cosa ci fosse dietro, cosa avrei visto una volta salita.

(…)

Comprensione e superficialità non appartengono agli anni ma al cammino che ognuno percorre.

Da qualche parte che non ricordo, non molto tempo fa ho letto un motto degli indiani d’America che diceva: “Prima di giudicare una persona cammina per tre lune nei suoi mocassini” Mi è piaciuto talmente che per non dimenticarlo l’ho trascritto sul bloc-notes vicino al telefono. Viste dall’esterno molte vite sembrano sbagliate, irrazionali, pazze. Finché si sta fuori è facile fraintendere le persone, i loro rapporti. Soltanto da dentro, soltanto camminando tre lune con il loro mocassini si possono comprendere le motivazioni, i sentimenti, ciò che fa agire una persona in un modo piuttosto che in un altro. La comprensione nasce dall’umiltà non dall’orgoglio del sapere.

(…)

Capire da dove si viene, cosa c’è stato dietro di noi è il primo passo per poter andare avanti senza menzogne.

 

(…)

Le cose che ci accadono non sono mai fini a se stesse, gratuite, ogni incontro, ogni piccolo evento racchiude in sé un significato, la comprensione di se stessi nasce dalla disponibilità ad accoglierli, dalla capacità in qualsiasi momento di cambiare direzione, lasciare la pelle vecchia come le lucertole al cambio di stagione.

Se quel giorno a quasi quarant’anni non mi fosse venuta in mente la frase del mio quaderno di greco, se l’ non avessi messo un punto prima di andare di nuovo avanti, avrei continuato a ripetere gli stessi sbagli che avevo fatto fino a quell’istante.

(…)

Trovare scappatoie quando non si vuol guardare dentro se stessi è la cosa più facile al mondo. Una colpa esterna esiste sempre, è necessario avere molto coraggio per accettare che la colpa – o meglio la responsabilità – appartiene a noi soltanto. Eppure, te l’ho detto, questo è l’unico modo per andare avanti. Se la vita è un percorso, è un percorso che si svolge sempre in salita.

A quarant’anni ho capito da dove dovevo partire. Capire dove dovevo arrivare è stato un processo lungo, pieno di ostacoli ma appassionante.

 

(…)

All’inizio il suo essere prete mi intimoriva, ogni cosa che gli raccontavo gliela raccontavo a metà, avevo paura di provocare scandalo, di attirarmi condanne, giudizi impietosi.

Poi un giorno, mentre ci riposavamo seduti su una pietra mi disse: “Fa male a se stessa, sa. Soltanto a se stessa”. Da quel momento smisi di mentire.

Da quel momento smisi di mentire, gli aprii il cuore come dopo la scomparsa di Ernesto non l’avevo fatto con nessun altro. Parlando e parlando, molto presto mi dimenticai che avevo di fronte un uomo di chiesa. Contrariamente agli altri preti che avevo incontrato, non conosceva parole di condanna né di consolazione, tutto il dolciastro dei messaggi più scontati gli era estraneo. C’era una specie di durezza in lui che a prima vista poteva sembrare respingente. “Solo il dolore fa crescere”, diceva, “ma il dolore va preso di petto, chi svicola o si compiange è destinato a perdere”

Vincere, perdere, i termini guerreschi che impiegava servivano a descrivere una lotta silenziosa, tutta interiore. Secondo lui il cuore dell’uomo era come la terra, metà illuminato dal sole e metà in ombra. Neanche i santi avevano luce dappertutto. “Per il semplice fatto che c’è il corpo”, diceva, “siamo comunque ombra, siamo come le rane, anfibi, una parte di noi vive quaggiù in basso e l’altra tende all’alto. Vivere è soltanto essere coscienti di questo, saperlo, lottare perchè la luce non scompaia sopraffatta dall’ombra. Diffidi di chi è perfetto”, mi diceva, “di chi ha le soluzioni pronte in tasca, diffidi di tutto tranne di quello che le dice il suo cuore”.

(…)

In quel cammino a un certo punto mi ero trovata davanti a un muro, sapevo che oltre quel muro la strada andava avanti più luminosa e più larga ma non sapevo come fare a superarlo. Un giorno, durante un acquazzone improvviso, ci riparammo all’ingresso di una grotta.

“Come si fa ad avere fede?”  gli chiesi là dentro.

“Non si fa, viene. Lei ce l’ha già ma il suo orgoglio le impedisce di ammetterlo, si pone troppe domande, dov’è semplice complica. In realtà ha soltanto una paura tremenda. Si lasci andare e ciò che ha da venire verrà”

(…)

..per brevissimi istanti riuscivo a scordarmi di me stessa. Era una luce piccola, debole, una fiammella appena, sarebbe bastato un soffio per spegnerla. Il fatto che ci fosse però mi dava una leggerezza strana, non era felicità quella che provava ma gioia. Non c’era euforia, esaltazione, non mi sentivo più saggia, più in alto. Quel che cresceva dentro di me era soltanto una serena consapevolezza di esistere.

Prato sul prato, quercia sotto la quercia, persona tra le persone

(…)

..tra la voce dell’apparenza e quella del cuore senza alcun dubbio, senza alcuna indecisione, hai scelto quella del cuore.

 

(…)

Se da qualche parte sarò, se avrò modo di vederti, sarò soltanto triste come sono triste tutte le volte che vedo una vita buttata via, una vita in cui il cammino dell’amore non è riuscito a compiersi. Abbi cura di te.

Ogni volta in cui, crescendo, avrai voglia di cambiare le cose sbagliate in cose giuste, ricordati che la prima rivoluzione da fare è quella dentro se stessi, la prima e la più importante. Lottare per un’idea senza avere un’idea di sé è una delle cose più pericolose che si possano fare.

Ogni volta che ti sentirai smarrita, confusa, pensa agli alberi, ricordati del loro modo di crescere.

Ricordati che un albero con molta chioma e poche radici viene sradicato al primo colpo di vento, mentre in un albero con molte radici e poca chioma la linfa scorre a stento. Radici e chioma devono crescere in egual misura, devi stare nelle cose e starci sopra, solo così potrai offrire ombra e riparo, solo così alla stagione giusta potrai coprirti di fiori e di frutti.

E quando poi davanti a te si apriranno tante strade e non saprai quale prendere, non imboccarne una a caso, ma siediti e aspetta. Respira con la profondità fiduciosa con cui hai respirato il giorno in cui sei venuta al mondo, senza farti distrarre da nulla, aspetta e aspetta ancora. Sai ferma, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla, alzati e va’ dove lui ti porta.